Quando si pensa al passato delle città si tende a farlo quasi sempre in modo generico, basandosi per lo più sui grandi eventi storici che hanno condizionato il destino di città come di nazioni intere.
Nel caso dell’Italia la storia ha visto, come è noto, un Paese a 2 velocità: il nord che ha saputo emanciparsi nel corso dei secoli divenendo il centro economico, e il Sud in affanno, specie tra XVIII e XIX secolo.
La rivoluzione industriale nel Regno delle Due Sicilie intorno al 1850 non è avvenuta se non un secolo dopo, con evidenti ripercussioni su chi viveva in queste regioni.
La storia, quindi, può essere letta anche attraverso le vicissitudini dei singoli, delle famiglie, del lavoro e delle lotte per andare avanti.
In particolare potrai trovare risposte su com’era la vita quotidiana di un napoletano nel 1800, perché si trattava della città più popolosa, capitale del regno e con grandi contraddizioni al suo interno, che hanno caratterizzato l’indole dei suoi abitanti per secoli.
Il clima sociale del’800 napoletano
Nel 1800, quindi agli inizi del secolo, il sovrano a capo del Regno delle Due Sicilie era Ferdinando I di Borbone, detto il “re Lazzarone”.
Questo nomignolo in parte può svelare paradossalmente quella che era la vita di una parte di napoletani a quel tempo, perché si rifà a una sorta di organizzazione denominata “Lazzari”, che facevano parte del popolino.
Gente povera, che per vivere cercava di arrabattarsi facendo qualsiasi lavoro potesse essere utile a guadagnare qualche spicciolo di ducato, che corrispondere a un “cavallo” o “tornese”.
Per comprendere meglio considera che un ducato aveva un valore di circa 4 euro, mentre un cavallo di 1 centesimo, mentre un tornese di 9 centesimi.
La paga in genere della maggior parte dei napoletani e degli abitanti di questo regno era conteggiata in “grana”, che valeva 16 centesimi. Il salario di un contadino era di 20 grani ogni giorno, quindi quasi 600 al mese.
I lazzari non avevano salario, essendo paragonabili a quelli che oggi sono i “lavoratori occasionali”, ma rappresentavano la gioventù e la classe di età media della popolazione (intorno ai 20 anni).
Da Lazzari a Lazzaroni
Da lazzari a lazzaroni il passo fu breve, in quanto considerati degli scansafatiche e probabilmente tali erano, perché non riuscendo ad avere un sostentamento non disdegnavano furti, imbrogli, trame e coinvolgimenti in affari loschi o anche la richiesta dell’elemosina.
Eppure riuscivano a tenere in scacco la popolazione e storicamente hanno avuto un ruolo fondamentale nei destini della città e nella difesa dello stesso Re Ferdinando I.
Morirono circa in 10 mila per difendere il suo regno e farlo ritornare sul trono, all’indomani dell’assedio francese.
Lo stesso sovrano però che portava questo soprannome, in qualche modo era lo specchio della Napoli del suo tempo, almeno fino al 1825, anno in cui morì.
Era nota la sua avversione verso qualsiasi forma di cultura, in quanto fin da bambino la sua educazione era stata affidata a un tutore che non era all’altezza per prepararlo al ruolo di sovrano.
Accanto a questa caratteristica c’era anche l’indolenza e il fatto di essere terribilmente superstizioso, tanto consultare continuamente indovini e fare gli scongiuri per qualsiasi cosa potesse, a suo dire, portare male.
Non è per imitazione che i napoletani anche di quel tempo erano superstiziosi, ma perché la vita assai difficile probabilmente aveva bisogno di un’ancora in più per sollevare la mente da indicibili preoccupazioni.
La situazione sociale della città, infatti, era tra le più difficili se pensi che già a inizio ‘800 Napoli superava i 550 mila abitanti e la popolazione aumentava in modo esponenziale.
Il grande problema di una città che cresceva senza controllo erano proprio le abitazioni e il prezzo che gravava sulla maggior parte delle famiglie povere: circa 20 ducati all’anno. Molti una casa non potevano affatto permettersela, soprattutto perché si trattava quasi sempre di famiglie assai numerose.
Alla base dell’aumento demografico c’erano motivi ben più importanti di quanto si possa pensare.
Le famiglie numerose del ‘800 napoletano
Non era un caso se la Napoli del ‘800 aveva una popolazione in continua crescita. Uno dei motivi era probabilmente quello economico, secondo 2 aspetti fondamentali.
Il primo era che in base alle leggi del regno l’unico modo per essere esentati dal pagamento di pesanti tasse, che corrispondevano grosso modo a buona parte del salario, era quello di avere almeno 12 figli.
Va da sé che non avendo scelta ed essendo la scala sociale di quel tempo praticamente impossibile da scalare, i napoletani guardavano concretamente a questa “via d’uscita”.
Il secondo motivo riguardava la forza lavoro disponibile non solo per i campi, ma anche per l’accudimento dei fratelli più piccoli, che non di rado potevano rimanere orfani.
La speranza di vita del Regno delle Due Sicilie a metà ‘800, e cioè precisamente dopo il 1861 quando si realizzò l’Unità d’Italia, si attestava intorno ai 30 anni e i bambini che morivano entro il primo anno di vita ogni 1000 nati erano 232 nel 1863.
I più grandi accudivano i più piccoli, ma il pericolo di ammalarsi soprattutto di patologie respiratorie per le abitazioni insalubri e le condizioni igienico sanitarie precarie, era reale.
Da documenti che riguardavano i matrimoni emerge un dato che fa riflettere: le nozze venivano celebrate sia per donne che per uomini in età molto precoce, con una media femminile intorno ai 15 anni e per gli uomini intorno ai 18.
Oltre a questo dato si è compreso anche come funzionavano anche gli accordi presi dalle famiglie riguardo alla dote nuziale, che nei ceti meno abbienti era davvero povera. Dalle notazioni consisteva, nella migliore delle ipotesi in un tavolo, un baule con la biancheria indispensabile per il letto, che non era scontato ci fosse. Poteva essere rimediato riempiendo sacchi con iuta, bucce di pannocchie o scarti della raccolta del grano.
Questo tipo di materassi potevano poggiare su reti fatte di tavole o direttamente sul pavimento.
Dalla relazione Jacini per la riforma agraria emerse anche che chi non poteva permettersi un’abitazione, si rifugiava in grotte o anfratti, oppure baracche.
La vita quotidiana di un napoletano del ‘800 non era né semplice né felice.
Si sa anche che proprio per l’altissima richiesta di abitazioni si arrivava ad affittare addirittura i posti letto, per cui spesso intere famiglie si trovavano a coabitare insieme, in modo promiscuo e, ancora una volta, in condizioni igienico-sanitarie tutt’altro che sicure.
Epidemie: il vaiolo, il colera e la malaria a Napoli
Non mancavano, come è noto, neppure le epidemie, prime fra tutte quella del vaiolo che non risparmiava davvero nessuno tra popolo, nobiltà e clero.
Uno dei figli dello stesso sovrano morì prima di compiere il terzo anno di età.
Periodicamente scoppiavano anche epidemie di malaria che partivano proprio dalle classi sociali meno agiate.
La povertà, quindi, insieme al problema del lavoro, dell’aumento demografico e della mancanza di abitazioni spinse molti napoletani a trovare alternative per vivere, non ultima il contrabbando di qualsiasi merce.
Nel corso del XIX secolo, più precisamente nel 1839, quando il regnante era Ferdinando II, ci fu l’inaugurazione della prima linea ferroviaria italiana che collegava la stessa Napoli a Portici, con doppio binario.
Un segno di quanto il commercio in questa città fosse intenso e di quali strutture di comunicazione si fossero rese necessarie, per favorire lo spostamento delle merci da una zona all’altra di quella che per il tempo era una vera e propria metropoli. Per la precisione era la città più grande d’Italia, in quanto centri urbani a quel tempo come Roma, Venezia e Bari avevano una popolazione di circa 350 mila abitanti.
La grandezza e la concentrazione demografica stimolava una richiesta di merci ingenti, sulle quali i regnanti che si sono succeduti fino al 1861 applicavano una pesante tassazione, dazi sia in entrata che in uscita.
Lo stesso poteva dirsi per i contadini, che erano in parte remunerati con una piccola quota del raccolto.
A Napoli questa pressione fiscale innescò, dunque, traffici illeciti, che erano comunque lo specchio di un disagio sociale profondo.
Lavoro e alimentazione
I lavori e l’alimentazione di un napoletano del ‘800 La vita quotidiana di un napoletano del ‘800 era scandita dallo svolgimento di diversi lavori, per lo più quelli dell’agricoltore, dell’allevatore, del muratore, ma anche del ciabattino, del lustrascarpe, dello scrivano per i pochi scolarizzati, del pescatore, del venditore di utensili o derrate alimentari nei vari mercati, ma anche di acqua minerale conservata in recipienti di terracotta, di angurie e di qualsiasi altra necessità alimentare.
L’alimentazione di un napoletano del ‘800 era prevalentemente a base di frutta e ortaggi, cioè di quello che coltivava. Dal grano si otteneva la materia prima principale, cioè la farina, quindi il pane, alimento principe dei pasti a lavoro. La circolazione delle derrate alimentari in questa città non mancava, ma l’alimento che in quel secolo andava per la maggiore anche come cibo di strada, erano le pannocchie, bollite o abbrustolite e che venivano anche vendute su banchetti a ogni angolo di strada.
Il latte, per esempio veniva venduto per strada, appena munto dalla mucca e riposto in recipienti misurati che venivano dati dagli acquirenti ai cosiddetti “vaccari”.
La strada era per molti una casa, che tanti non avevano, ma che rappresentava una sorta di riparo dall’indigenza, alleviata da ciò che rimaneva e veniva spesso diviso.
Il mutuo aiuto a Napoli è da sempre stato una tradizione, un modo di essere e proprio nel ‘800, il secolo del Grand Tour, lo stesso Goethe ebbe a constatare che Napoli era “povera ma fiera”.
Il vivere per strada e offrire anche dei servizi, come quello del barbiere, era visto come qualcosa di molto folkloristico e caratterizzava le abitudini quotidiane degli abitanti. Lo stesso letterato tedesco arriverà a definire proprio per questa realtà la stessa la città come un paradiso, osservando la tendenza al dolce far niente, in preda a una sorta di “oblio di se stessi”. Si riferiva agli scugnizzi napoletani, bambini di strada che si arrabattavano, ma che di fondo trascorrevano le giornate bivaccando in gruppi.
Gli scugnizzi e il folklore napoletano
Gli stessi bambini spesso si potevano incontrare al seguito di un “maestro” che insegnava loro a suonare alcuni strumenti musicali, creando una piccola orchestrina per deliziare i tanti turisti che arrivavano a Napoli e godevano, come accade anche oggi, di un’atmosfera disincantata forse unica al mondo.
Napoli, da sempre capitale della musica, era protagonista con danzatori di balli come la tarantella, che coinvolgevano e incantavano i passanti, soprattutto stranieri, turisti o semplici viaggiatori per commercio.
Gli strumenti più diffusi erano la chitarra, il tamburello, l’organetto, le zampogne e ravvivano i momenti di svago, dai matrimoni alla fine dei raccolti, fino alle serate estive tra strade e piazze, dopo lunghe giornate di lavoro.
Per tutto l’800 e anche nel periodo post unitario, l’economia su cui si basava Napoli rimase di tipo agricolo, ma estremamente arretrata, tanto che lo stesso Jacini nel 1877 raccomandò al governo di abbassare la pressione dei tributi e di avviare un risanamento dei terreni incolti, dei latifondi per migliorare le condizioni generali del popolo.
Della città di Napoli ottocentesca rimane l’atmosfera di chi non si ferma mai neppure davanti alle difficoltà e, di fronte agli altri, si mostra in tutta la sua fierezza e allegria, che fanno innamorare di questi luoghi.
Ecco un motivo in più per visitare la villa e godere dell’ospitalità esclusiva luxury di cui solo il cuore di Napoli è capace.
Fonte foto: astearcadia.com